Oasi per rinfrescarsi
Sotto stelle diverse
Finalmente al mio posto
… … dall’altra parte del mondo, spogliatomi degli abiti stretti del medico occidentale, stavo cominciando a riconoscere, forse per la prima volta in vita mia in modo così netto, gli sprazzi di leggerezza e autenticità del “trovatore spirituale”. Gettavo lo sguardo sul tetto di tronchi e foglie di cocco intrecciate, mi scuotevo nell’intimo alla scossa trasmessami dal “pazzo” che tenevo per mano, assistevo sconcertato a sensitivi gemere, rotolarsi e vomitare mentre calmavano, entrando nella loro fascia vibratoria, la crisi di epilettici stesi al suolo nel centro del cerchio, scoprivo in me una naturalezza antica possedermi dal ventre e condurmi nel ritmo di tamburi suonati all’ancestro […]Rivedevo il mio primo impatto con il Brasile: l’alba sulla Baia di Guanabara (la baia di Rio), dipinta tocco dopo tocco dalle stelle che si spegnevano. Riprovavo l’eccitazione gaia che mi faceva pendere il collo all’ingiù, oltre il finestrino, oltre l’ala, per seguire le luci infinite accese sulle miserie del suburbio di Rio, ancora da indovinare, per via della distanza, o il corteo rosato mandato dal sole dei tropici tra il mare e os morros (le colline) per dire ai meninos da rua (bambini di strada) che anche quello sarebbe stato un giorno da vivere, o la lunga striscia storta del ponte Rio-Niteroi scritta apposta per fantasie di squali.
O l’agitazione incontenibile, alla vista della spiaggia di Niteroi, che avevo scambiato per Copacabana, del Pao de Açucar, del Corcovado, di tutte quelle baie e rocce e mare e foreste e del Galeao.
Il Galeao, l’aereoporto di Rio, ti accarezza adagio come per prepararti allo schiaffo allegro, fatto di violenza e simpatia, miseria e divertimento, disperazione e umanità, che la città ti sbatterà inevitabilmente sul muso. Sentivo la voce calda ed accogliente della speaker: “Voo quatro, quatro, sete, pará Brasilia, embarque imediato, portao seisc”.
La magia di quella voce avrebbe scandito negli anni alcuni tra gli episodi più significativi della mia esistenza e ancora non lo sapevo.
Quello che per ora avvertivo, a una settimana di distanza, mentre me ne stavo lì disteso a viaggiare verso l’utero di mia madre, in una clinica per matti dove non si capiva bene chi fosse sano e chi malato, era la ridondanza sensuale e morbida di quella voce che mi aveva dato il benvenuto in terra carioca.
Nel frattempo intorno, mentre risuonavano le note dell’Inno alla gioia di Beethoven o i ritmi sincopati dei tamburi di Ogun (divinità guerriera), succedeva di tutto.
Canguru, soprannome che da solo la dice lunga sulla prerogativa del suo possessore, saltava per ore come un ossesso, da quando, arrivando in comunità, gli erano state tolte le dodici compresse di psicofarmaci che prendeva da anni. Fernando, giornalista in cerca di curiosità, si guardava intorno per un po’ prima di accorgersi che non sapeva bene che fare e allora si metteva a respirare da yogi sui bordi della piscina. Rosa bruciava letti accendendovi sotto il fuoco che doveva invece sedare nel suo ventre sciagurato, mai sazio d’amore. Geovani, group-leader come amava definirsi, rincorreva i matti più facoltosi cercando di rifilar loro, previo lauto compenso, piramidi di cristallo da mettere sui chakras. Pedro, mosso da fonte oscura, passeggiava senza tregua le ore del giorno e, si diceva, anche della notte, nel tentativo vano di dare una direzione all’angoscia che gli imbrattava l’anima. Cara de Freud (faccia di Freud), medico e psichiatra, sbraitava con la giacca in fiamme per via di una scatola di fiammiferi accesasi da sola nella sua tasca di destra. Carlao, incurante del dato, stava, storto ed immoto, come certi manichini dei grandi magazzini in attesa di conquistarsi un posto in vetrina. Alfredo, desapareçido dei tempi più cupi, ora membro dello staff, si massaggiava le parenti in visita con un occhio alla cura e l’altro alla conquista. Rosanna, vestita da maga, lanciava anatemi a destra e a manca con una coloritura di linguaggio tale da fare invidia al miglior Amado. Edson, proprio lui, il medico fondatore e capo indiscusso della comunità, correva fuori da una stanza imprecando e strappando cuscini per disperderne ai venti la lana i cui filamenti arrotolati erano certamente i responsabili della follia di colei che ci dormiva sopra da anni. Anna, l’italiana finita lì non si sa bene come, venuta da Trieste con un biglietto di sola andata comprato non si sa da chi, strizzava l’occhio ai maschi prima di scolpirti dentro parole pesanti così: «Senti, io sono stanca, sai? Sono veramente molto stanca perché io non dormo, capisci? Io sono quattro notti che non dormo! Io non dormo e non mangio nemmeno. Io sono quattro notti che non dormo e quattro giorni che non mangio niente, capisci cosa vuol dire questo? E io posso stare anche un mese senza dormire o mangiare, capito? Io faccio cose che tu non immagini nemmeno, sai? Perché io sono pazza, pazza, pazza, pazza, pazza, pazza, pazza. Io sono proprio folle perché la follia è bellissima. È bella la follia. La follia è meravigliosa, è la cosa più bella. Io sono spirito, hai capito? Il mio corpo non so cosa sia. Perché io sono pazza. Io sono molto spirituale, non sono materialista, odio i materialisti. Io sono molto religiosa, sai? Capisci, io adesso sono stanca e vorrei dormire, ma potrei anche non dormire. Io ho fame, ma non mangio. Non mangio perché posso non mangiare. Il mio corpo non mi dice niente se non mangio. Non lo sento il mio corpo. Capito? Io sono pazza, pazza, pazza! Io non sono come gli altri, io sono diversa da tutti gli altri. Io sono una zingara. Io rido per la strada, io parlo da sola. Parlo da sola e me ne fotto, capito? Io me ne fotto di quello che dicono gli altri. Io mi vesto di stracci e corro per le strade da sola. Io sto sempre sola, perché stare sola è bellissimo, perché sono folle e la follia è bellissima».
Non poteva certo dirsi, insomma, un impatto ordinario quello che ebbi con il Brasile. Ma non era che l’inizio… …
Il Brasile vuole il tuo cuore
Orixàs, catalizzatori di energia
Mae Divina
Cosa ci facessi lì non mi era affatto chiaro, cosa avevo io da spartire con quelle moltitudini povere, scure ed incolte che mi circondavano da ogni lato?… …
Totalmente consapevole
La chiarezza
Il discorso del lago
Solo
Un’intuizione