Impresso nel silenzio diffuso, la notte inattesa, resta respirando profumo, persi riferimenti dell’umano, seppi la stolta audacia dell’animo, l’anelito improbabile della sosta, la lucida follia di passeggi nel nulla.
Spuntato dall’ombra, il tempio, terrazze offerte al mare, palafitte, sorrette tra roccia e foresta, si confusero a tronchi di Jaca.
Stretto l’abbraccio verde il corso sparso d’anime in attesa.
Donne ed uomini protesi al sogno del silenzio, indaffarati o presenti, osservatori o persi nel blu.
Leggero, l’andare e venire, segnò la foresta di sentieri sospesi all’azzurro intricato, al grido acuto di scimmie sorprese o canto d’uccelli.
Respirai perfetto il colore di un tramonto solito nella foresta da Tijuca, quando il vento danzò tra rumore di foglie e l’uomo avvertì sussurrato il messaggio del regista celeste: ciò che succede è ciò che ha da succedere.
Come le acque del fiume prima di fragore e frequenza per cadere di sotto.
Bianco il sacerdote, raro dal verbo, si volse al sentiero che dietro casa prendeva a sinistra per salire deciso verso il verde reso fitto dall’ingresso radioso nell’azzurro sorriso.
Salimmo a fatica, a volte aprendoci la strada, altre accolti dal sole con una morbida carezza. Scorgemmo allora l’etrusco sciogliersi nella mobile distesa dell’oceano e il nostro petto poté offrire un sospiro all’immenso.
Giunti nel luogo delle pietre la veranda di roccia scavata vibrò la sua protettiva durezza, a valle ritrovammo l’odierno.