Spunti per una lettura transpersonale dell’opera teatrale.
P. L. Lattuada M. D., Ph. D.
Il Mondo è ciò che sogni, ammonisce la tradizione originaria, suggerendo che ogni sguardo sul mondo è determinato dall’idea che noi ne abbiamo.
Le antiche tradizioni spirituali ricordano che la Realtà è un’illusione che vela l’essenza, tanto che il termine apocalisse, erroneamente associato alla fine dei tempi, in verità significa svelamento, rivelazione. La rivelazione della vera natura di Cristo, fatto che secondo una lettura laica, transculturale e transpersonale, potrebbe essere compreso come realizzazione del Sé. Dove per Sé s’intende, appunto, il “Cristo interiore”, l’essenza dell’individuo che dimora oltre la sua personalità, termine che può venire esteso ad ogni cosa, indicando così l’essenza che sta oltre l’apparenza, la Verità che sta oltre la Realtà. “Io sono a Via, la Verità e la Vita”.
La costruzione della Realtà
In ambito occidentale il primo a parlare di costruzione della Realtà può essere considerato Giovanbattista Vico (1668-1774), il quale sosteneva che il vero fosse identico al fatto e affermava che:
“…la verità umana è ciò che l’uomo conosce costruendolo con le sue azioni, e formandolo attraverso di esse”, oppure, “…L’uomo è dunque il creatore, attraverso la storia della civiltà umana. Nella storia l’uomo verifica il principio del verum ipsum factum creando così una scienza nuovache avrà un valore di verità come la matematica[1].
Le scienze cognitive concordano, la percezione della realtà è costruzione della Realtà, non esiste un mondo là fuori che non sia partecipativo con la nostra realtà interiore.
Padre di questo nuovo pensiero detto costruttivismo può essere considerato lo psicologo statunitense George Kelly che negli anni cinquanta mise le basi dell’epistemologia costruttivista nel testo Psicologia dei Costrutti Personali. Altri padri di questo moderno pensiero sono considerati: George Herbert Mead, Jean Piaget, Humberto Maturana, Francisco Varela, Kurt Lewin, Paul Watzlawick, Lev Vygotskij, Gregory Bateson e Ludwig Wittgenstein.
La matrice epistemologica costruttivista mette in discussione, come già la fisica moderna, si pensi al relativismo quantico di John Archibald Weheler[2], la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, in quanto sapere totale che rappresenti un ordine esterno indipendente dall’osservatore. Esso considera il sapere come qualcosa che non può essere ricevuto in modo passivo (come affezione del mondo esterno) dal soggetto, ma che risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà. La Realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare esperienza” di essa. Questo significa che ogni dato di esperienza è il risultato di un dialogo partecipativo tra gli eventi che succedono là fuori e il nostro modo di osservarli, il quale a sua volta si fonderà sulle mappe cognitive che servono a ciascuno di noi per orientarsi nel territorio dell’esperienza attribuendole significati.
Una dimensione verticale
A questo punto però è necessario, a nostro avviso fare un passo oltre la visione costruttivista, trascendendola e includendola in quella transpersonale.
La visione transpersonale concorda col fatto che ogni esperienza sia frutto di un dialogo partecipativo, ma introduce una dimensione verticale che definisce una scala di valori nel modo di fare esperienza, si tratta della dimensione degli stati di coscienza.
L’epistemologia costruttivista si muove in un territorio definito da una mappa della psiche nella quale la razionalità piena rappresenta il livello di coscienza, cioè il modo di fare esperienza, più elevato.
La visione transpersonale propone un modello integrale che ampli la cartografia della psiche fino a comprendere gli stati cosiddetti, appunto, transpersonali, che sono molteplici, ma che possiamo in questa sede sintetizzare negli stati retti da uno stato di coscienza unitivo.
I mistici di molte tradizioni sostengono di potere espandere la loro coscienza verso mondi superiori con la meditazione e la preghiera.
Le diverse tradizioni esoteriche occidentali come la cabala, la tradizione ermetica, i teosofi, i rosacroce, gli antroposofi e allo stesso modo le dottrine orientali come i Veda, il buddismo indiano e tibetano, parlano dell’organismo come di un’unità costituita da diversi corpi interconnessi, i quali, a loro volta esprimono diversi stati di coscienza. Senza entrare nei dettagli delle molteplici letture degli stati di coscienza ci limiteremo in questa sede a sottolineare l’esistenza di un confine tra la mente ordinaria, razionale, la mente dei costruttivisti per intenderci, quella che elabora teorie e interpretazioni della Realtà e una mente non ordinaria, unitiva in grado di cogliere attraverso l’osservazione consapevole, l’essenza che dimora oltre le apparenze, la Verità indicata dalla Realtà, la Via suggerita dal maestro interiore, il Sé. Stiamo parlando, in ultima analisi della differenza tra pensiero e intuizione, tra ragione e consapevolezza, stiamo parlando di quella che David Bohm chiama “comprensione di nuovo ordine, che si svela in modo naturale”[3] e che altri chiamano insight e altri come De Mello[4] definiscono cuore, dimensione dove si potrà cogliere la vera natura del Sé.
A fondamento dell’epistemologia transpersonale sta infatti la distinzione tra Io e Sé, dove per Io si intende quello che sappiamo di noi stessi, frutto delle identificazioni con la storia personale e per Sé si intende la totalità dell’essere, la pienezza delle nostre potenzialità, passate, presenti e future.
L’esperienza transpersonale in teatro.
Rivolgere l’attenzione al percorso evolutivo della coscienza significa rivolgere l’attenzione dentro di noi, interiorizzare il processo, riabilitare l’esperienza interiore, il grande dimenticato della nostra cultura tecnologica nel bel mezzo dell’era informatica post-moderna.
Operazione che il teatro, con la sensibilità sufficiente, è chiamato a svolgere da protagonista.
Esperienza interiore significa, fermarsi, osservare, restare in contatto, lasciare fluire, cogliere l’unità di tutte le cose, qualità che l’attore sviluppa per dovere, ma che è chiamato a restituire per amore, amore per Sé, per il teatro, per i propri simili.
Lezione che egli apprende ogni giorno nel gioco incessante delle parti, nel dialogo partecipativo tra le varie sub-personalità che lo abitano, tra colui che giace dietro le quinte e colui che presenta se stesso sul palcoscenico, colui che mostrandosi si nega e travestendosi si mostra, colui che a volte crede al sogno della rappresentazione, altre si sveglia e si riconosce fare sul serio, molto sul serio. Colui che recita e ripete ciò che ha da imparare, che impara senza lasciarlo vedere. Colui che: “lo spettacolo continua”, oltre se stesso, oltre ogni sipario, oltre ogni dietro le quinte, che volge l’ansia in desio e la timidezza in ostentazione, colui che recita su palcoscenico della vita, ciò che ha appreso nel laboratorio della rappresentazione.
Lezione che nella vita ordinaria insegna il superamento dei confini che ci separano, dell’individualismo che ci contrappone, dell’importanza personale che ci rende schiavi dei bisogni dell’Io, dell’identificazione emotiva, la peste emozionale come la definiva W. Reich[5], che ci cronicizza sotto il giogo della storia biografica. Atteggiamento che prefigura un individuo e una società ad alta sinergia, cioè organismi che funzionino naturalmente e spontaneamente insieme, distaccati da proprio Ego, in armonia con il tutto.
La sinergia, infatti, come ci ricorda Russel:
non comporta alcuna coercizione o restrizione né è provocata da sforzo deliberato. Ogni elemento individuale del sistema funziona in direzione dei propri fini, e i fini stessi possono essere svariati. Eppure, gli elementi funzionano in modo che sono spontaneamente di mutuo sostegno. Di conseguenza, il conflitto intrinseco è scarso o nullo.[6]
Lezione che il teatrante conosce per professione e alla quale aderisce per mestiere, pena l’insuccesso. Lezione, che portata nella vita, si rivela in grado di favorire un salto nel nuovo modello evolutivo individuale e sociale che conduce verso l’interno, verso quei territori del Sé dove risiede l’essenza, la vera natura dell’essere che guarda con occhi animati dalla coscienza dell’unità.
Così facendo l’esperienza teatrale si affianca all’esperienza interiore fondata sulla meditazione e sulle antiche e moderne tecnologie del sacro, all’esperienza transpersonale favorita dalle nuove psicoterapie integrali, all’ispirazione poetica e alla creazione artistica, al volontariato sociale, alle prassi ecosostenibili di varia natura, al consumo equo e solidale, in rotta verso quella nuova rivoluzione che ci piace chiamare transpersonale. Una rivoluzione della coscienza che sta conducendo l’umanità dall’esterno all’interno, dall’individualità separata, alla parte illimitata, dalla coscienza razionale che delimita i confini alla coscienza dell’unità che sperimenta l’unione con il tutto, dalla diversità personale alla consapevolezza dell’essenza, secondo un modello che non nega l’Io ma lo trascende e includein un contesto più ampio dove l’ego individuale viene messo al suo posto, non al centro del nostro universo interiore, ma in rotazione intorno alla pura essenza, al nostro centro unificante interiore.
Come l’attore scompare a se stesso per offrirsi al personaggio e il personaggio, per fare grande l’attore deve, come il sale nell’oceano, rendersi all’archetipo che lo anima, nel gioco cosmico della vita, un essere umano integro, sarà in grado di riconoscere e trasformare i propri bisogni disidentificandosi dagli stessi, di riconoscere e accettare amorevolmente i propri limiti ma anche di autorizzarsi a trovare la forza e il coraggio necessari per trascenderli. Sarà in grado di volere ma allo stesso modo di sottomettersi ad una volontà che lo trascende, forte ma capace di debolezza, fiero di sé ma umile e modesto, capace di dire si e di dire no, di accogliere e respingere, donare e ricevere.
Un essere umano che può trovare nello spazio sacro della rappresentazione, il temenos adatto a recitare la sua interezza, l’atanor dove purificare il piombo delle proprie passioni con il fuoco catartico della drammatizzazione tragica, il metallo impuro dell’importanza personale, espressa nella parodia narcisistica di Sé, esposta dalle maschere della commedia al proscenio del rispecchiamento popolare, nell’oro dell’archetipo. Archetipo che l’attore, incarnato nel bene e nel male, nelle risonanze con il Sé o nelle interferenze dell’Io, reso al sacrificio di Sé offre, con mestiere, al servizio della divinità. Offre consapevolmente al Nous che fa capolino dietro ogni personaggio, ai mille volti dell’eroe a volte vituperato nel cattivo, altre osannato nel salvatore, altre misconosciuto nel servo, invidiato nel vincitore, temuto nel demone, rifuggito nel folle, negato nel debole, brutto, sporco e cattivo, esorcizzato nel mago, potente e misterioso.
Egli, facendo bene sul palcoscenico ciò che ha da imparare nella vita, parafrasando Eduardo De Filippo, può insegnare a se stesso e allo spettatore che in lui si rispecchia, l’arte del dono di Sé. La capacità di lasciarsi andare oltre se stessi e di liberare, in uno spazio protetto, i propri eroi e i propri demoni, le proprie passioni e le proprie virtù, la capacità e la necessità di navigare l’oceano della coscienza. Recuperando quell’anelito all’estasi la cui repressione è ritenuta da molti[7]una delle fonti principali del disagio della civiltà odierna; reintegrando in Sé, agendole, le divinità che abitano le altezze e le bassezze dell’animo umano, quelle divinità che, cacciate dalla coscienza, come direbbe Hillman[8], si sono riversate nella materia diventando malattie.
Ne conseguirà una società dove, similmente alla compagnia sul palcoscenico, ad un orchestra musicale o alle cellule del nostro organismo, inizieremo ad agire nel rispetto di noi stessi e dell’ambiente, guidati da un’intuitiva e immediata consapevolezza del bene comune. Seppur inconsapevoli dell’interezza del disegno svolgeremo la nostra parte sentendoci al nostro posto nella nostra unicità, assolutamente diversi e allo stesso modo totalmente interconnessi, come un dito della nostra mano, un’onda dell’oceano.
L’attore e la filosofia perenne
Il passaggio dal modello dell’Io a quello del Sé o essenza, da un modello guidato dall’esterno ad uno guidato dall’interno, dalla coscienza razionale alla coscienza dell’unità, non è una novità, esso ci schiude un mondo che ha sempre accompagnato l’umanità ma che è sempre stato trascurato dai poteri forti, da quelli che fanno la storia politica, sociale, economica, scientifica di una civiltà.
Per tradizione il teatrante è sempre stato un elemento funzionale seppur marginale della società, in grado di cogliere le debolezze del sistema e suggerire trascendimenti creativi oltre la miseria umana, l’invito è che sappia, in questa epoca storica, cogliere il “versante scordato”, l’esperienza interiore dell’unità, oltre la mente, l’esperienza transpersonale della dimensione archetipica, esprimendo quell’innovazione post-convenzionale in grado di fare del due l’uno, unificando Realtà e Verità, apparenza ed essenza, nella coscienza dell’unità.
Parliamo di “versante scordato”, volendo con questo termine indicare una dimensione sulla quale, le tradizioni mistiche, tutte indistintamente, hanno posto l’accento fin dall’inizio dei tempi.
Aldous Huxley[9] riprese da Liebnitz il termine filosofia perenne, volendo con questo indicare l’insieme delle tradizioni fondate sull’ esperienza interiore. Si tratta, come prosegue Russell:
“non tanto di un gruppo d’idee sulle quali pensare o dibattersi, quanto un invito a guardarsi dentro e scoprire in prima persona queste verità. I conseguenti cambiamenti di consapevolezza, stile di vita e moralità possono essere profondi, ma sono il risultato della conoscenza di questo stato di puro Essere, piuttosto che derivare dall’accettazione di qualsiasi sistema concettuale o dottrina.” [10]
Si tratta in definitiva, non di una “cosa” cioè di un’ideologia, ma di un “modo”, cioè di un atteggiamento, di una prassi, di uno stato di coscienza, di quello che altrove definimmo: modo ulteriore.[11]
Il modo ulteriore definisce quella condizione di coscienza che consente di cogliere l’unità oltre la dualità, la separazione in ciò che unifica, l’unione in ciò che separa, l’ombra nella luce, la luce nell’ombra, l’alto in basso, il basso nell’alto, il pieno nel vuoto il vuoto nel pieno; quella condizione che coglie ciò che viene verso quando qualcosa va via, ciò che c’è dentro mentre vado fuori o ciò che va fuori mentre vado dentro la differenza nell’uguaglianza, l’uguaglianza nella differenza, e così via.
Realizzare il modo ulteriore significa cogliere che questo è quello, come afferma lo Zen, oppure che tutto è unocome ammonisce il Tao, oppure ancora che, secondo i dettami dell’Ermetismo: così in alto come in basso. Significa compiere quel processo che Eduard Carpentier così descrive:
“Se inibisci il pensiero(e perseveri), a un certo punto arrivi a uno spazio di consapevolezza al di sotto del pensiero…e ti rendi conto di un’essenza interamente più vasta a quella di cui siamo abituati”.[12]
Un processo nel quale la coscienza ordinaria fondata sul tuo piccolo Io individuale muore a se stessa per risvegliarsi nella coscienza dell’unità e cogliere che la sua reale essenza pervade ogni cosa e che, per continuare con Carpentier “…le montagne e il mare e le stelle sono parte del nostro corpo e la nostra anima è in contatto con le anime di tutte le creature”[13]
Il modo ulteriore coincide pertanto con l’atteggiamento di quell’essere umano che onora la propria vera natura e realizza pienamente se stesso, la propria essenza.
Un essere umano dalla mente vuota, dagli occhi chiari e dal cuore leggero, che ama e rispetta, se stesso e il prossimo di un amore spontaneo, equanime che prescinde da affinità, qualità, bisogni.
Il fisico David Bohm nel suo libro The Implicate Order [14]afferma che le leggi fisiche primarie non possono essere comprese da una mente che cerchi di scomporre il mondo nelle sue parti e suggerisce l’esistenza di un ordine implicato non svolto che esiste ad uno stato non manifesto e costituisce il fondamento sul quale si basa tutta la realtà manifesta, l’ordine esplicato svolto. Tale ordine esplicato presenta una realtà olografica nella quale le parti sono connesse da una stretta relazione dinamica per la quale i sistemi meno complessi contengono in sé la potenzialità dei più complessi ed i più complessi esprimono la realizzazione di tale potenzialità. Ogni sottosistema dipende in maniera irriducibile dallo stato dell’intero sistema.
Krishnamurti[15]a sua volta sostiene la differenziazione tra mente e fondamento, dove per mente è da intendersi l’insieme dei contenuti mentali, pensieri, ricordi, immagini e per fondamento è da intendersi il contenitore ad essi sottostante al quale si accede mediante l’osservazione. Allo stesso modo il buddismo tantrico tibetano parla della vera natura della mente paragonandola allo specchio nel quale si riflettono i suoi contenuti.
Secondo Williams James[16], padre della psicologia americana, la nostra coscienza in stato di veglia non è altro che un tipo speciale di coscienza, affiancata da altre forme potenziali di coscienza completamente diverse. Egli inoltre distingue tra conoscenza immediata e conoscenza concettualeo rappresentativa. Allo stesso modo Spinosa[17]così come Henri Bergson[18]distinguono tra intelletto e intuizione, mentre Abraham Maslow[19]contrappone ad una conoscenza intellettuale una conoscenza fusionale.
Andrei Weil20, affianca una conoscenza diretta ad un’indirettae Norman O. Brown21 una conoscenza carnale ad una conoscenza dualistica. Alfred North Whitehead22, il filosofo moderno che forse più d’ogni altro si è soffermato sulle due diverse modalità di coscienza ad una modalità simbolica di conoscenza contrappone la prensione vale a dire il sentirela realtà in modo diretto e non duale.
Alan Watts23 ricordando i risultati della ricerca di Einstein, Schroedingher, Heisenberg che affermano l’inscindibilità tra soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto, sostiene che per comprendere profondamente la realtà è necessaria una modalità di conoscenza che con la realtà sia compatibile, vale a dire una conoscenza che non separi il soggetto che conosce da ciò che viene conosciuto.
Eddington24conferma che esistono due tipi di conoscenza, che lui chiama conoscenza simbolica e conoscenza intima. Egli sostiene che le forme tradizionali di pensiero si sono sviluppate esclusivamente intorno alla conoscenza simbolica dal momento che la conoscenza profonda non si lascia codificare o analizzare e auspica una conoscenza intima della realtà che vada al di là dei simboli della scienza.
Carl Gustav Jung25considera l’esperienza mistica lo strumento per l’accesso diretto al mondo archetipico ed arrivò ad indicare nell’esperienza spirituale la via maestra per guarire dalle nevrosi. Ken Wilber26 suggerisce una lettura della coscienza come spettro costituito da cinque livelli in cima al quale colloca la coscienza dell’unità.
Stan Grof sottolineando la centralità dell’esperienza diretta delle dimensioni spirituali, suggerisce il termine di mente olotropica per indicare quegli stati unitari della mente che consentono la trascendenza di ogni limite della mente analitica, di ogni categoria razionale, di ogni costrizione della logica ordinaria.
Carlos Castaneda27riportandoci quella che definisce la saggezza degli antichi stregoni parla di una seconda attenzione che consente l’accesso al nagual, il mondo della comprensione contrapposta alla prima attenzione che si limita al tonal, il mondo dell’illusione.
Per tornare alle tradizioni spirituali, il taoismo considera una conoscenza convenzionale subordinata ad una conoscenza naturale, il tao che consente la comprensione diretta della realtà; l’induismo oppone a una conoscenza inferiore, concettuale e comparativa una conoscenza superiore che si raggiunge intuitivamente, direttamente. L’advaita vedanta sostiene che oltre la mente si accede all’ultimo vedente, l’Atman, lo Spirito impercepibile, l’unico che può conoscere l’origine del soggetto e dell’oggetto dell’esperienza. Il misticismo cristiano con Meister Eckhart, come riporta Ken Wilber28 parla di un crepuscolo della conoscenza per indicare la conoscenza simbolica attraverso la quale le idee vengono percepite in modo distinto, e di un’alba della conoscenza nella quale “le creature sono percepite senza distinzioni, ogni idea è rifiutata, e tutti i paragoni si dissolvono nell’Uno che è Dio stesso”. Anche il buddismo mahayana contempla due modalità di conoscenza: vijnana e prajna, la prima caratterizzata dal dualismo tipico dei sensi e dell’intelletto, la seconda caratterizzata dall’identità tra osservatore e cosa osservata.
E potremmo continuare a lungo, la mole di dati a favore della necessità di trascendere la mente ordinaria per accedere alla vera natura della realtà è sconfinata. Ci limiteremo qui a ribadire le già citate caratteristiche di quella comprensione di nuovo ordine che secondo David Bohm29 si svela in modo naturale e che fornisce le basi epistemologiche del nuovo paradigma. Caratteristiche che il fisico inglese descrive nel modo seguente:
osservare in modo ampio e aperto
(vuoto e sveglio direbbe lo Zen)
sentire le caratteristiche rilevanti
per
accedere all’insight
(percezione immediata fuori dal tempo)
L’intuizione nella storia
Questa nuova comprensione cui si accede tramite l’insight, come abbiamo visto, è antica come la storia. La concezione di Bohm dell’insight coincide, infatti, con il termine intuizione, che in quanto tale è nota e descritta nella storia della filosofia fin dai primordi. Con l’avvento del pensiero scientifico moderno la ragione nel suo tentativo di individuare il certo ha scalzato l’intuizione, universalmente riconosciuta come strumento di conoscenza del vero.
La visione transpersonale si propone come veicolo di mediazione tra i metodi di ricerca del certo e le vie di accesso al vero, invita al recupero e alla valorizzazione dell’intuizione, realizzabile mediante l’esperienza interiore di ordine trascendente, come strumento d’indagine della realtà.
L’importanza attribuita nei secoli all’intuizione in quanto “conoscenza diretta, pronta e immediata di una verità che si manifesta allo spirito senza bisogno di ricorrere al ragionamento” ne risalta il valore irrinunciabile per qualsiasi sistema di conoscenza che voglia fornire garanzie di validità.
Già Aristotele e Platone affermavano la possibilità di percepire direttamente i principi primi mediante l’intuizione. Plotino, S. Agostino ed i mistici medievali indicano nell’intuizione “l’unica via per l’uomo di entrare in contatto con Dio” Per S. Tommaso ha carattere intuitivo la stessa Conoscenza Divina, intesa come creatrice dei suoi stessi oggetti. Nella filosofia moderna il concetto di intuizione viene a coincidere con quello di evidenza, Cartesio definisce l’intuizione la “percezione immediata di alcuni singoli contenuti assolutamente certi”30 mentre Locke riconosce nell’intuizione “la via privilegiata per percepire immediatamente e con sicurezza la concordanza e la discordanza tra i diversi contenuti” Spinosa riconosce all’intuizione la prerogativa di “rendere partecipe il soggetto della natura dell’oggetto”31affermando così la superiorità della scienza intuitiva. Più complesso è l’approccio di Kant che distingue tra un’intuizione sensibile, intesa come la percezione immediata dell’oggetto e un’intuizione intellettuale propria di Dio per la quale l’oggetto stesso è creato. Con Hegel e la filosofia idealista l’intuizione intellettuale diviene anche attributo umano e si definisce come il mezzo attraverso il quale l’uomo coopera al processo di creazione dell’oggetto. Bergson a sua volta concepisce l’intuizione come “forma privilegiata di percezione che permette di superare gli schemi dell’intelletto per giungere a una più vera comprensione dell’oggetto in tutta la sua plasticità e dinamicità”32 allo stesso modo Husserl considera l’intuizione eidetica l’unica via per cogliere l’essenza.
La visione transpersonale vuole offrire una chiave di lettura degli eventi, quindi una mappa fondata sulla mente unitiva e sull’intuizione, che orienti nel territorio dell’esperienza in grado di rispettarne la sua natura partecipativa, dinamica ed interconnessa.
Esperienza, certamente intesa come rappresentazione, ma secondo una linea evolutiva che si snoda dal Reale al Vero, lungo un percorso di graduali rivelazioni che conducono, grazie ad un gioco dialettico tra identificazione e disidentificazione, verso salti di coscienza via via più consapevoli dell’essenza che giace oltre l’apparenza, verso un’esperienza via va più integrale e presente a se stessa, in grado di cogliere le matrici archetipiche che si animano, processi dinamici e interconnessi, in ogni campo di coscienza.
Le parole chiave per una lettura transpersonale della rappresentazione teatrale si definiscono pertanto nei termini seguenti: dialogo partecipativo, campo, processo, struttura, identificazione, disidentificazione, coscienza dell’unità, osservazione consapevole, intuizione, esperienza integrale, forze archetipiche.
Il dialogo partecipativo tra attori e spettatori è metafora di ogni circuito di esperienza, campo nel quale la rappresentazione rivela i suoi diversi ordini strutturali, organizzati in livelli di complessità via via più profondi, più vicini all’essenza. Ogni livello di complessità è caratterizzato da uno specifico stato di coscienza.
Il circuito dell’esperienza
Si rende necessario a questo punto una precisazione epistemologica che proceda dall’esperienza interiore per aiutare nella comprensione della vera natura della coscienza e dei suoi stati.
Va ricordato anzitutto che lacoscienza prima di essere un «sistema stabile» è un «flusso dinamico» e pertanto che risulta praticamente impossibile, oltre che poco sensato, definire con precisione i confini di uno stato di coscienza, oppure individuare l’esatto momento di passaggio da uno stato di coscienza all’altro.
Potremmo procedere poi considerando la natura ternaria di qualsiasi esperienza. Colui che vive l’esperienza, il soggetto, ciò di cui si fa esperienza, l’oggetto e (dal punto di vista del soggetto) ilmodo con cui il soggetto fa esperienza dell’oggetto, appaiono interconnessi in un circuito dinamico e imprescindibile.
Io, la luna e il modo nel quale faccio esperienza della luna, Io, mia madre e il modo nel quale faccio esperienza di mia madre, Io, il mio fegato o la paura o i miei pensieri e il modo in cui ne faccio esperienza.
All’interno di ogni campo, sede di un circuito dell’esperienza, il soggetto si trova in una posizione verso la quale converge un flusso d’informazioni che al suo interno vengono elaborate e che fanno poi partire un flusso di azioni verso l’esterno.
Il flusso in entrata è riconducibile a quell’insieme di funzioni connesse al sentire, il flusso in uscita a quell’insieme di funzioni connesse all’agire, mentre ciò che avviene nel centro del soggetto riguarda le funzioni connesse all’elaborare.
Possiamo, a questo punto, ridefinire l’unità ternaria di ogni circuito dell’esperienza, con la triade sentire-elaborare-agire e possiamo così renderci conto come il «modo» dell’esperienza, vale a dire lo stato di coscienza, sia determinato essenzialmente dal modo di elaborare l’informazione.
Colui che assiste: l’osservatore
Una volta compreso il concetto di unità ternaria composta da sentire-elaborare-agire, possiamo fare un passo oltre e considerare «colui che assiste» al circuito dell’esperienza, vale a dire: l’osservatore.
Quando, ad esempio, mi trovo di fronte alla luna,
OSSERVO LA LUNA
Definiamo questo piano di esperienza: primo livello di consapevolezza.
Dove per consapevolezza intendiamo la “coscienza di essere coscienti”, che si declina in questo primo ordine con la funzione dell’osservatore che presta attenzione.
L’osservatore sa, quando guarda la luna, di vedere la luna, così come sa di sentire dolore quando sente dolore, di pensare quando pensa, di andare in automobile quando va in automobile. Chiamiamo Prima Attenzione il modo dell’osservatore in questo primo ordine o sistema di coscienza.
Se l’osservatore che è in me ha sviluppato la necessaria capacità di dirigere la consapevolezza potrà succedere che avvenga un «salto verticale» per cui egli arrivi a osservare se stesso mentre osserva.
Succederà allora che,
MI OSSERVO OSSERVARE LA LUNA.
Entrerò così in quel piano di esperienza che definiamo: secondo livello di consapevolezza.
In questo livello, a tutte le caratteristiche del primo, che permangono intatte, si aggiungono nuove potenzialità.
La capacità dell’osservatore di dirigere la consapevolezza lungo le dimensioni dell’osservarsi mette in condizione l’individuo di padroneggiare i propri processi intrapsichici e realizzare profonde trasformazioni della coscienza.
Chiamiamo Seconda Attenzione, questo secondo modo di funzionare dell’osservatore.
Potrà poi avvenire un ulteriore «salto verticale» grazie al quale l’osservatore potrebbe scoprire di essere una cosa sola con tutto ciò che lo circonda, potrebbe avvertire i suoi limiti dissolversi lasciando un solo centro di consapevolezza attraversato dall’osservazione.
Ampliando ulteriormente la nuvoletta del suo campo di coscienza l’osservatore potrebbe realizzare l’unità tra scacchiera, pedina, luna, giocatore, universo. Potrebbe succedere allora che,
L’OSSERVAZIONE MI OSSERVA OSSERVARE LA LUNA.
Entrerebbe così in quel piano di esperienza che definiamo: terzo livello di consapevolezza.
Si tratta del terzo ordine, il livello della Coscienza dell’Unità, nel quale si vivono “esperienze transpersonali o mistiche o spirituali di rara intensità”, per le quali si avverte l’unità fondamentale del creato, si realizza l’incontro con l’Essenza, ci si fonde con il tutto nell’esperienza metafisica. Nell’esperienza metafisica l’osservatore si rende all’osservazione che lo osserva osservarsi osservare. In essa, come ricorda Zolla:
«si fondono le varie persone, come le chiama il Vedanta, quella che vede, quella che ode, quella che fiuta, quella che ricorda e quella che immagina, tutte quante si unificano in un Io che le abbraccia e comprende indistintamente».33
Possiamo affermare che quando l’osservatore che è in noi assiste, cioè elabora le informazioni in arrivo, secondo modalità tipiche del primo livello di consapevolezza ci troviamo immersi nel Mondo della Conoscenza; quando l’osservatore assiste secondo le modalità tipiche del secondo livello di consapevolezza accediamo al Mondo della Consapevolezza; quando l’osservatore assiste secondo modalità tipiche del terzo livello di consapevolezza ci si schiudono le porte del Mondo dell’Essenza. Possiamo così azzardare la seguente legge:
Legge della naturalezza naturale
In ogni essere umano (campo di coscienza in grado di percepire e dotato di un elevato livello di complessità), se si mantiene per un tempo sufficiente la persistenza del contatto, l’organizzazione della percezione si svolgerà inizialmente secondo il percorso lineare della conoscenza che consentirà all’osservatore inerente al campo di percepire i dati provenienti dal mondo esterno (esterocezione) e dal proprio mondo interiore (propriocezione) con complessità via via crescente. La persistenza del contatto porterà ad un salto verticale nella Seconda Attenzione grazie al quale l’organizzazione della percezione si svolgerà secondo il percorso circolare della consapevolezza mediante il quale l’osservatore osservando se stesso percepire accederà ad una percezione immediata fuori dal tempo, l’ insight o comprensione di nuovo ordine che coglie il processo nella sua interezza ed infine consentirà un salto ulteriore nel quale i confini tra osservatore e cosa osservata si dissolveranno nella pura e semplice essenza.
La Prima Attenzione in teatro: Io Osservo la luna
Si pensi all’attore che abbia appena litigato con la fidanzata o allo spettatore che mentre assiste allo spettacolo pensi alle bollette da pagare, ci troveremo in una condizione di bassa sinergia caratterizzata da scarsa identificazione, pienezza mentale elevato grado di separazione dall’esperienza.
Un attore concentrato e uno spettatore attento introdurranno invece nel campo qualità in grado di determinare un sistema ad alta sinergia.
Chiamiamo Prima Attenzione il livello di presenza necessario affinché si realizzi un dialogo partecipativo efficace tra spettacolo e spettatore. L’attore attraverso la presenza scenica, l’abilità tecnica, la padronanza dell’esperienza interiore offrirà allo spettatore una rappresentazione efficace di contenuti nei quali rispecchiarsi. Lo spettatore potrà così identificandosi con gli attori partecipare alla funzione catartica della rappresentazione. Mediante rispecchiamento con i contenuti espressi nel testo rappresentato potrà vivere le esperienze messe in scena dagli attori arricchendo così il proprio bagaglio di vissuti, grazie alla risonanza emotiva potrà rivivere situazioni passate e apprendendo per differenza o imitazione operare ristrutturazioni cognitive più funzionali alla realizzazione di Sé.
La Seconda Attenzione in teatro: Mi osservo osservare la luna
Procedendo sulla scala evolutiva degli stati di coscienza, l’osservatore grazie a un atto di osservazione consapevole potrà compiere la prima disidentificazione osservandosi assistere allo spettacolo e accorgendosi di non essere gli attori e le emozioni che lo spettacolo gli provoca.
Allo stesso modo l’attore, immerso nel personaggio, ma consapevole di non essere lui ad agirlo veramente, potrà accorgersi di essere agito da un campo che lo trascende, da una forza archetipica che lo guida e lo orienta.
Grazie a questa, Seconda Attenzione, l’osservatore potrà liberare risorse, distogliendole dai propri contenuti personali e cogliendo così i significati contenuti nel testo, identificandosi con l’autore, camminando nei suoi mocassini, come direbbero i Nativi Americani. Significati che, anche in questo caso, dipenderanno dal livello di consapevolezza dell’osservatore la quale potrà anche spingersi, come si diceva, oltre l’intenzione stessa dell’autore a cogliere messaggi e significati transpersonali.
Compiendo, infatti, una disidentificazione di secondo ordine, l’osservatore potrà cogliere la struttura del processo, la quale è sempre espressione, ridotta ai minimi termini, di una risonanza o interferenza con una manifestazione archetipica transpersonale: Il saggio, il giullare, il mago, il guerriero, il briccone, la grande madre, l’amante, la fanciulla, la fata, la prostituta e così via.
La Coscienza dell’Unità in teatro: L’osservazione mi osserva osservare la luna
L’identificazione con l’archetipo consente ad entrambi, attore e spettatore, di percepire la dimensione sacra, transpersonale della rappresentazione in atto, di cogliere la loro forza numinosa espressa dalla coscienza collettiva del campo che si è venuto a creare.
Persistendo nella presenza e nella resa, nell’osservazione consapevole e compiendo quella che potremmo chiamare una disidentificazione di terzo ordine entrambi, attore e spettatore potranno compiere un salto ulteriore e cogliere, attraverso il senso sentito, l’intuizione della trama sottostante, unica e individuale. Si tratta della platonica, visione del sole, la chiarezza delle cose come sono, la perfezione sincronica degli eventi che rivela a ciascuno il senso dell’essere lì e dell’insegnamento che sta ricevendo. La rivelazione, intima e individuale, proporzionale al grado di disidentificazione e osservazione consapevole di ciascuno degli ordini nascosti del processo rappresentato nello spettacolo, delle matrici archetipiche implicate che esprime l’essenza stessa dello spettacolo, la quale, a volte sfugge anche allo stesso autore in quanto espressione della sua dimensione superconscia, transpersonale, appunto.
Alcuni esempi
Amleto Prima Attenzione
Amleto al cospetto della voce fantasmatica del padre che lo invita a vendicarlo, aderendo al codice paterno, prepara un piano e per nascondere i suoi propositi di vendetta si finge pazzo. Il piano lo condurrà alla vendetta ma anche alla morte. Ofelia, rifiutata da Amleto, e perso il padre, ucciso per errore dallo stesso Amleto, in preda alle sue ansie abbandoniche impazzisce per davvero e si uccide.
Lasciamo allo spettatore, che presupponiamo presente, a livello di prima attenzione, la piena libertà di identificarsi con Amleto, con il Padre, con Ofelia, con la madre Gertrude, con lo zio Claudio, con l’amico Orazio, o on l’ardito Fortebraccio, vivendosi e vedendosi così tutte le passioni umane rappresentate nella mirabile tragedia Shakespiriana. Lasciamolo anche libero di identificarsi con la follia fasulla e con la follia autentica, con l’inganno e il sotterfugio, lasciamo anche libero di spiegarsi l’odio per la madre secondo una lettura psicanalitica e di interrogarsi sula bizzarria di questo Edipo a polarità inversa.
Amleto Seconda Attenzione
Diamo però anche fiducia alla sua capacità di disidentificazione dai personaggi e di accesso alla Seconda Attenzione, in grado di cogliere attraverso l’osservazione consapevole la matrice archetipica implicata.
L’’osservatore potrebbe allora cogliere una struttura figlia della paura e della fuga dalla responsabilità che, disonorando il Sé dell’Eroe, il Principe ereditario, lo conduce attraverso l’identificazione con un falso Sé alla sete di vendetta, all’inganno e in seguito alla morte; potrebbe anche cogliere una seconda versione dell’ombra archetipica nel dramma di Ofelia, la quale, allo stesso modo abdicando al suo Sé, di Giovane Donna, bella, elegante e intelligente cade in preda al demone della svalutazione di Sé, che la conduce alla follia e alla morte.
L’osservatore potrebbe anche procedere oltre e, apprendendo per differenza, rispecchiarsi in scenari ad alta sinergia, rispettosi, invece dell’archetipo e della sua forza numinosa. Ecco allora svelarsi un processo risonante nel quale la rappresentazione prevede un Amleto che sguainata la spada del potere personale affronta il padre, recitandogli, ad esempio, una delle affermazioni di base della Gestalt: Io Sono Io e tu sei Tu, oppure invitandolo ad elevare il suo spirito verso il perdono e la compassione piuttosto che verso i sentieri senza uscita della vendetta. Ecco allora Ofelia, onorare l’archetipo della Donna libera e indipendente, in grado di affermare il proprio valore e il proprio diritto di esistere oltre la prigionia del bisogno, oppure l’archetipo della Dea Madre, amorevole, compassionevole e saggia in grado di sostenere il suo uomo, di scuoterlo dal torpore dell’ignavia e di orientarlo sulla via eroica della responsabilità.
Sogno di una notte di mezza estate Prima Attenzione
Oberon usa il suo potere magico per ottenere vantaggi personali, il suo maldestro assistente ingarbuglia ancora più la situazione degli intrecci amorosi discordanti, nel frattempo gli attori preparano la loro rappresentazione nella rappresentazione che si concluderà tragicomicamente mentre gli innamorati realizzeranno il loro sogno d’amore.
Nel primo ordine del circuito dell’esperienza sul palcoscenico della coscienza si svolgerà la rappresentazione dell’identificazione con i personaggi, la pulizia della storia personale: la fascinazione del potere, l’amore, il desiderio e la paura, la satira.
Sogno di una notte di mezza estate Seconda Attenzione
La disidentificazione dalla storia personale consentirà un secondo livello d’identificazione, più essenziale e profonda, trasformante, transpersonale. Si tratta dell’identificazione con gli archetipi: il Re dei folletti la Regina delle fate, l’innamorata rifiutata, l’amato desiderato, l’amato desiderante, l’amata desiderata, il giullare.
Comprensione di nuovo ordine, insight: Dopo avere messo il suo potere al servizio dei suoi bisogni personali il mago aggiusta le faccende d’amore di comuni mortali in uno slancio di compassione, assicurando il lieto fine. La colpa viene espiata attraverso la catarsi tragica della rappresentazione nella rappresentazione.
Filumena Marturano Prima Attenzione
Filumena Marturano è un ex prostituta che si fa sposare con uno stratagemma da un suo affezionato, ricco, cliente. Scoperto l’inganno l’uomo ricorrerà agli avvocati certo, come infatti, è di avere la legge dalla sua, ma la donna con un monologo appassionato gli offre una lezione di vita alla fine della quale gli confessa di avere tre figli dei quali uno suo. Convocati i tre figli, l‘uomo vuole conoscere quale sia il suo, ma Filumena si rifiuta per evitare che gli altri siano discriminati.
Identificazione con la saggezza pratica e scaltra di Filumena, con la pochezza del ricco, con i figli illegittimi, col prediletto. Pulizia della storia personale.
Di fronte alla crisi della famiglia patriarcale, una prostituta erige l’argine del rispetto, di fronte al disincanto dei sentimenti di donna una madre rinsalda una famiglia sui generis sulla base della garanzia economica.
Filumena Marturano Seconda Attenzione
La prostituta sacra, il borghese, il legale, i figli, il prescelto.
Osservazione consapevole: Celebrazione dell’Eros materno determinato alla gusta azione superiore ad ogni legge umana e al potere fasullo della convenzione.
Coscienza dell’unità
In tutti e tre i casi resta escluso l’ineffabile, non esprimibile se non con metafore, l’esperienza intima del dialogo partecipativo tra il Sé individuale degli attori e degli spettatori con il Sé collettivo rivelato dalla seconda attenzione, il raggio dell’insight acceso dal senso sentito tra le maglie del processo apparente, lo sguardo vuoto e sveglio che coglie l’essenza nel gesto, l’ascolto attento che intuisce il messaggio transpersonale dell’archetipo dissimulato dal susseguirsi di umane vicende, la coscienza dell’unità che coglie l’uno nel molteplice, la complementarietà nel conflitto, la luce nell’ombra, il vuoto nel pieno, la grazia nella disgrazia.
Indetto prologo di sinfonie profane
Sussurrate di contrabbando all’acme dei sensi
Ridotti dalla sintassi dell’evidenza
Alla tutela del concepibile.
Conteso banchetto di significati
Immolati al tocco sintonico dell’uno
Silenzio raccontato ai quattro venti
Dalla frenesia delle passioni.
Placato dal presente sussulto dell’attenzione
Sveglia dimora dei savi
Pizzico di perduta arroganza
Vista dal bagliore spento di Sé.
Riferimenti Bibliografici
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20. Zolla E. (1988), Archetipi, Marsilio, Padova.
[1] Giambattista Vico, De antiquissima Italorum sapientia in Opere filosofiche a cura di P.Cristofolini, Firenze, Sansoni 1971, p.62)
[2] John Archibald Weheler(con E. F. Taylor) Spacetime Physics: Introduction to Special Relativity, Freeman, New York, 1992
[3]Krishnamurti J., Bohm D. (1986), Dove il tempo finisce, Astrolabio Ubaldini, Roma.
[4] De Mello A. (1990), Messaggio per un aquila che si crede un pollo, p. 66-67, Piemme, Casale Monferrato.
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[9]Huxley A. (1985), La Filosofia Perenne, Adelphi, Milano
[11]Lattuada P.L. (1996), Il Modo Ulteriore, Meb, Padova
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[19]Maslow A. (1971), Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio, Roma
20 Weil A., citato in Lattuada P.L. (1995), Il modo ulteriore, Meb, Padova
21 Brown N.O., citato in Lattuada P.L. (1995), Il modo ulteriore, Meb, Padova.
22 Whitehead A.N. (1979), La scienza e il mondo moderno, Boringhieri, Torino
23 Watts A. W. (1979), Psicoterapie orientali ed occidentali, Astrolabio Ubaldini, Roma.
24 Eddington, In Wilber K. (1993).
25 In Wilber K. (1993).
26 Wilber K. (1993).
27 Castaneda C. (1975), L’isola del Tonal, Rizzoli, Milano.
28 Wilber K. (1993).
29 Krishnamurti J., Bohm D. (1986).
30 Si veda: Piccola Enciclopedia Treccani, vol. pag, Roma.
31 Si veda: Piccola Enciclopedia Treccani, vol. pag Roma.
32 Si veda: Piccola Enciclopedia Treccani, vol. pag, Roma.
33 Zolla E. (1988), Archetipi, Marsilio, Padova.