O No?
Perdonare appartiene ad uno di quei termini, molti ahimè dei quali col tempo né è stato travolto il senso.
La cultura della competizione e del dominio che contraddistingue il nostro mondo tende a figurarsi colui che perdona come il giusto, colui che chiede perdono come l’empio, il peccatore, il colpevole. Siamo fradici fino all’osso di dualismo morale, invasi fino alle cellule dal dramma della separazione.
Figuriamocelo il peccatore, chino e penitente, colui che perdona e assolve ritto e fiero.
Così in alto come in basso, beati gli ultimi, recita la saggezza perenne.
Qual è il peccato? Chi è il peccatore? Dove sta la colpa se non nel giudizio?
Veniamo quindi all’etimo di perdonare, dal latino per, rafforzativo di donare, concedersi.
Il perdono in origine si configura pertanto come l’atto estremo del dono di sé, l’offerta di sé all’altro. Una iper offerta potremmo dire. E quale dono può essere più grande se non donare se stessi al nostro nemico, a chi ci offende?
Difficile direte voi. Si difficilissimo e se allora cominciassimo con offrire noi stessi ad un idea, ad una causa comune, ad un sogno?
Si potrebbe anche fare, basta che non ci costi troppo. Si potrebbe anche fare abbastanza per metterci la coscienza a posto e non sentirci dalla parte dei colpevoli. Si potrebbe anche fare basta che le nostre abitudini vengano salvaguardate, i nostri interessi mantenuti, il nostro vantaggio assicurato.
Che ciascuno di noi abbia da percorre ancora un po’ di strada in direzione del perdono?
Forza allora, mettiamoci in cammino. Senza pretesti, senza strategie, alziamoci e partiamo.
O no?
Pier Luigi Lattuada