Impresso nel silenzio II ( a volte ritornano)

Erbe vennero miscelate, tempo trascorse fumando, il padre scendendo adagio scandì l’attesa, benedisse le istruzioni che il sacerdote ci offerse, preparò corpi e menti all’ingresso nel suo regno.
Solo più tardi avrei compreso, per mai più scordare, il linguaggio sovrano travestito di nebbia.
Il miracolo del giorno che finisce respira d’incomparabile e la mente dell’uomo s’infrange nell’abisso per accedere al luogo dove riposa la chiave della comprensione suprema.
La mente che sposta grattacieli, incontrando l’attesa, parve purificarsi, sorrise, agita nella rappresentazione di se stessa, intese a valle il fragore di rapide.
Ma questo non bastò per destare la consapevolezza di me, ebbra d’ordinario.
Scesi il sentiero nella calma ignara dello stolto, entrai nel tempio con la presunzione di esserne degno, teso al discorso divino.
Anime bianche di donne si disposero alla destra, uomini alla sinistra, fanciulli e fanciulle di fronte alle finestrelle aperte nel legno dove il sorso sofferse all’evento.
Sintassi di suoni e silenzi, di gesti e pause, di metafore e sguardi disegnarono nuove strutture adagiate tra le forme del tempo.
La notte ci consegnò al canto degli uccelli, alla caccia notturna di jaracuçu, all’abbaiare di cani che rincorrono tatu, al silenzio dell’ombra, all’umido abbraccio dell’ultima manciata di ore prima che finisca l’anno.
Quando la liana scese dai cieli il maestro scivolò ascoltato tra la presunzione e la pienezza di me, tra le miserie e l’audacia del guerriero, bambino indotto alle strade alte dal bisogno di sé.

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