ARCHETIPI
Anche nel mondo ellenistico il concetto di archetipo è stato teorizzato da diversi pensatori: Filone d’Alessandria in De opificio mundi considera gli archetipi come la manifestazione di Dio nell’uomo”. Nel mondo latino Ireneo, in Adversus Haereses, afferma che: “il creatore non fece queste cose a partire da se stesso, ma le trasse da archetipi estranei”. Nel Corpus Hermeticus, Dio è considerato “luce archetipica” mentre Dionigi l’eropagita nel De Coelesti Hierarchia parla di “archetipi Immateriali” e lo stesso S. Agostino, pur non citando la parola archetipo, ne teorizza il concetto. Nel De Diversis Questionibus parla di idee originarie che non sono state create ma “contenute nell’intelligenza divina”. Ma veniamo a Jung, per il quale gli archetipi sono come dei “campi magnetici” tra i quali la psiche si muove, l’energia simbolica è la loro forza, il corpo materiale il loro conduttore. Essi sono il contenuto dell’inconscio collettivo, quella “dimensione della coscienza innata, universale, transpersonale dalla quale emergono mediante loro rappresentazioni”. Mentre, infatti, gli archetipi secondo Jung sono: “modelli ipotetici, non evidenziabili simili ai modelli di comportamento noti alla biologia”, le rappresentazioni archetipiche sono “immagini a priori così cariche di significato che non ci si chiede mai che cosa veramente possano voler dire”.
Tali rappresentazioni “sono in primo luogo manifestazioni psichiche che rivelano l’essenza dell’anima, esse presentano un “contenuto inconscio che viene modificato attraverso la presa di coscienza e per il fatto di essere percepito”. In definitiva l””Archetipo è l’idea, la “forma formante” di ogni “forma manifesta”, cioè di ogni rappresentazione archetipica. Quest’ultima, rispondendo alle voci dell’interiorità, alla perentoria necessità che la psiche inconscia avverte, per citare di nuovo Jung, “di far risalire ogni esperienza sensibile a un accadere psichico”, esprime simbolicamente il dramma dell’anima presagito ma ancora sconosciuto e, pertanto, si trasforma secondo il livello di consapevolezza individuale.
O ancora, secondo Zolla, “gli archetipi sono dunque schemi unificanti carichi di energia emotiva e simbolica” ai quali ci si avvicina con “un processo lento, brividante, assorto”, il processo di meditazione. Con il trascendimento della mente duale nell’esperienza unitiva, metafisica della meditazione, ci suggerisce Zolla, si arriva a comprendere gli archetipi come “viventi vivificanti, più vivi degli uomini vivificati” in quanto, essi “appartengono alla vita vivente e non, come questi ultimi, alla vita vissuta”.
Egli aggiunge:
la ragione da sola non li afferra, perché coglie soltanto i significati, non la significatività. Soltanto superando l’isolamento della ragione, facendo confluire nell’apice dell’anima, come si chiamava un tempo, la più fine sensitività e la più fulminea capacità di calcolo mentale, si può comprendere un archetipo.
tratto da “Biotranspenergetica”, di Pier Luigi #Lattuada