Monte Carmel è un bel posto, ma non a tutti piace. C’è chi lo trova troppo selvaggio, cacciato là in fondo alla vallata ai margini del bosco, sulla riva settentrionale del torrente che scende dal Gottero.
Il torrente, appunto: un greto sparso, abitato a iosa da massi di tutte le misure, disposti nelle guise più strane che si spingono fin dentro il verde. Un verde massiccio, invasivo, padrone dei pendii scoscesi dei monti che si rincorrono dapprima tondi, per poi farsi più aguzzi oltre la vista, lassù in direzione sud-est, oppure accovacciarsi a ovest verso il mare.
Tra il greto e il verde, le acque. Bianche e sane, quasi fossero la Ganga poco dopo Gangotri o a Rishikesh o Hardwar. Acque racconto mai quieto di storia, acque Jacuzzi per i corpi coraggiosi di alcuni avventori della fattoria, acque di maggio dilagate a pozza per ospitare il guizzo di giovani, guardinghe trote, acque bianche riflesse in cielo, cielo cobalto e bizzarre nubi e la notte manto di mille splendidi soli.
La notte, appunto.
La notte sullo Stora, a giugno riverbera il folle incanto di sussurri ignoti, ti prende alla gola con un silenzio così zitto di sorrisi da farti pregare il tuo Dio perché ti aiuti a non dimenticare.
A volte se ti siedi al limitare del bosco, sull’ultima pietra prima delle acque e ti lasci scrosciare dallo sciabordio dei giusti, ti sembra di sentire una voce; per la verità ti sembra anche di scorgere una sagoma tra il fogliame di ontani, salici e lauri. Una sagoma scura per via del buio, che assume le forme le più diverse, ma che splende di un chiarore tutto speciale, difficile da descrivere, come brillasse di luce propria. Una luce che sgorga dal buio, compare e scompare secondo tempi scanditi da un ritmo imprevedibile; una luce che quando scompare, a volte svanisce in mucchi di fosforescenti palline colorate, anch’esse così splendenti da risultare ineffabili. Alcune di queste palline, ad esempio, possiedono un contorno rosa fucsia e un nucleo verde pisello, altre brillano di un arancione vivido, avvolte da un blu elettrico, altre, grigio metallico e rosso barbera. Se le guardi, sembrano dialogare con te, mediante traiettorie variabili, a volte ti si avvicinano, altre senza che tu capisca bene a quale misterioso segnale stiano rispondendo, si dirigono verso i rami degli alberi più vicini e iniziano a seguirne le linee, per poi di nuovo staccarsi e venirti verso in una danza lieve.
Quando ti riprendi, è venuta l’alba, il chiarore del primo sole inghiotte le luci, il cinguettio degli uccelli sovrasta la voce. La voce in compagnia della quale hai passato la notte, a tratti ascoltando con rispetto, altri ribattendo con arroganza, annuendo con meraviglia o titubando con timore.
La voce, in verità ti parla dentro, usando la tua mente per produrre pensieri e intuizioni, e lo fa con incessante precisione tanto da non lasciare spazio nella tua anima che a silenzi ricolmi di pace. Da quei silenzi, a volte, visioni.
da Lattuada P.L. (2014) Sei un Genio, ITI Edizioni, Milano.